Le classifiche delle università. Graduatorie per migliorare.

ArwuL’uscita delle annuali classifiche delle migliori università del mondo suscita come al solito polemiche, in particolare da parte di francesi e italiani, che lamentano la presa in esame dei soli corsi di laurea in inglese. Le graduatorie confrontate dal Corriere della Sera del 18.08.2013 si riferiscono a quattro classifiche: Arwu (Academic Ranking of World Universities) della Jiao Tong University di Shanghai, l’ultima in ordine di tempo, il Taiwan Ranking e le inglesi QS (Quacquarelli Symonds) World University Rankings e Times Higher Education. Colpiscono le rilevanti differenze tra una classifica e l’altra, ad esempio la Johns Hopkins compare al 2° posto per la Taiwan Ranking ma non compare tra le prime dieci nelle altre tre classifiche. Per Taiwan è insolita anche la posizione dell’MIT (decima), che nelle altre tre classifiche compare tra il 1° e il 4° posto. Per fare un po’ di chiarezza ho provato a mediare i risultati delle 4 classifiche (assegnando convenzionalmente la posizione 11° nel caso in cui l’università in questione non fosse presente in una o più delle classifiche) determinando la nuova classifica complessiva seguente:

  1. Harvard
  2. MIT
  3. Cambridge (UK)
  4. Stanford
  5. Berkeley
  6. Oxford (UK)
  7. Princeton
  8. Johns Hopkins
  9. UCLA
  10. Washington – Seattle
  11. London College (UK)
  12. Caltech
  13. Michigan – Ann Arbor
  14. Chicago
  15. London Imperial College (UK)
  16. Yale
  17. Toronto (CAN)
  18. Columbia
  19. Tokyo (JAP)
MIT
Edifici del campus MIT

La sostanza non cambia di molto, se consideriamo che tra le prime dieci ce ne sono ben otto di americane! In particolare, in base alla media dei risultati conseguiti nei quattro studi, svetta Harvard (prima in tre su quattro), seguita a una certa distanza dall’MIT, poi da Cambridge (UK) e Stanford, da Berkeley e Oxford (UK) e, ulteriormente staccate, da un gruppo di università che comprende Princeton, Johns Hopkins. UCLA, Washington Seattle, London College (UK), Caltech e così via.

Stanford
Un edificio a Stanford

Le migliori italiane sono oltre la 100.a posizione: Milano (Università degli Studi e Politecnico), Padova, Pisa, Roma La Sapienza, Bologna. Risultato scoraggiante, anche se nelle prime 500 c’’è un indice di concentrazione delle italiane abbastanza alto, secondo Marino Regini, esperto di sistemi universitari. Ma in ogni caso il divario è impressionante. Ciò che viene messo in discussione è però il metodo utilizzato per stilare le classifiche, che è basato su due criteri principali: quello linguistico e quello quantitativo. Da una parte le due classifiche asiatiche privilegiano gli studi in inglese escludendo tutti quelli in italiano, francese, tedesco. Dall’altra vengono premiate soprattutto le pubblicazioni scientifiche (su riviste ad esempio come Nature e Science), il che finisce per favorire le grandi istituzioni accademiche (ma anche questo è un indicatore essenziale) e penalizza un po’ i risultati delle facoltà umanistiche.

Berkeley
Un edificio a Berkeley

Andrea Ichino, nell’articolo ‘Le classifiche delle università: possiamo davvero fidarci’ del Corriere del 18.08.2013 prova a tracciare una metodologia più trasparente, riferendosi soprattutto al lavoro svolto dall’Anvur (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca), basato sui seguenti criteri: tenere distinte le singole materie e inoltre indicare, oltre al risultato medio di ogni dipartimento, anche se tale risultato è omogeneo oppure derivi da punte di eccellenza combinate con zone d’ombra. Ichino suggerisce inoltre che sia lo Stato a rendere disponibili queste informazioni, in modo trasparente, tramite un sito web che gestisca informazioni sulle università a livello di singolo dipartimento. Informazioni riguardanti: ricerca, strutture, dimensioni, didattica, risultati ottenuti dai laureati nel mercato del lavoro (!) ecc., in modo che si riducano le infruttuose discussioni di principio e ci sia la possibilità per l’utente di interrogare il sistema ottenendo risultati efficaci e utili per la proprie scelte.

FinancialTimesAltre classifiche internazionali sono disponibili, ad esempio: Education World’s Best di US News oppure il ranking delle business school del Financial Times. Nel 2014 è atteso l’arrivo di una classifica tutta europea (anche come finanziamento pubblico) che analizzerà circa 700 atenei di tutto il mondo. Si tratta di ‘U-Multirank’, evidentemente una risposta alle quattro classifiche in questione. Al di là dei risultati, mi sembra logico che questi sistemi di informazioni vengano utilizzati dalle università ‘nostrane’ (pur con il finanziamento insufficiente con il quale fa attualmente i conti il sistema universitario italiano) come spunto di riflessione per il miglioramento. Ad esempio tramite il potenziamento del legame tra conoscenza e mondo produttivo, come commenta Franco Mosconi, in riferimento alla situazione dell’Emilia-Romagna, sul Corriere di Bologna del 19.08.2013. Secondo questo esempio queste classifiche sono l’occasione per puntare a consolidare un sistema – ad esempio come quello emiliano romagnolo – che includa distretti produttivi (macchine per l’imballaggio – Bologna, meccatronica – Reggio, farmaceutica – Parma, wellness – Cesena), poli tecnologici (ICT – Bologna e Modena, biomedicale – Mirandola) e una rete regionale di università a ‘cooperazione rafforzata’ (che equivale a network + massa critica) tra Bologna, Ferrara, Modena-Reggio e Parma), per una ‘Via Emilia dell’innovazione’.

EuregioE’ qualcosa di analogo a ciò che è già realtà con l’accordo di cooperazione transfrontaliera firmato ieri ad Alpbach tra le università di Bolzano, Trento e Innsbruck. Dopo il protocollo di intenti firmato il 05.05.2012 a San Michele all’Adige, si tratta di un accordo programmatico che prevede una serie di progetti in comune nell’ambito sia della ricerca sia della didattica, nelle aree disciplinari che vedono eccellere le tre provincie (Bolzano, Trento, Tirolo): ingegneria, fisica, informatica, lettere e filosofia, scienze cognitive. In concreto, ci sarà la possibilità per i ricercatori di prestare la loro attività su più sedi, per gli studenti di frequentare i corsi nelle diverse sedi, ecc. Una vera e propria ‘Università dell’Euregio’, seppur virtuale, dove comunque ogni ateneo possa consolidare la propria specializzazione; ad esempio, per Bolzano, l’orientamento alla tutela dell’ambiente e del futuro e la spinta verso uno sviluppo equilibrato. Il tutto già in piena sintonia con gli obiettivi di Horizon 2020, il nuovo programma europeo sulla ricerca e innovazione, che prevede sinergie internazionali di questo tipo.

Link alle interviste dei rettori di Bolzano e Trento sull’accordo Euregio di Alpbach.

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