Leggere un film in chiave di impresa.

2013_04_19 immagine 01Ho recuperato un libro del 2007, Il grande libro del cinema per manager, di Francesco Bogliari, Sergio di Giorgi, Marco Lombardi e Piero Trupia (fa parte di una serie di ETAS ‘Il grande libro de … per manager’, gli altri titoli riguardano le strategie, le idee, la letteratura). Il testo si prefigge di raccontare e interpretare l’impresa attraverso il cinema, proponendo la lettura in chiave manageriale e aziendale di 50 grandi film. Titoli dai quali ricavare spunti di riflessione e discussione su concetti chiave come leadership, cambiamento, competenze, creatività, carriera, complessità, missione, organizzazione, ruoli, talento, formazione, mobbing, gruppo, diversità, innovazione ecc.

2013_04_19 immagine 02A parte che mi piacciono in generale le liste, le classifiche, le selezioni (sì, ho visto più volte ‘Alta Fedeltà’ …) trovo molto stimolante cercare un parallelo tra situazioni aziendali tipiche e metafore rappresentate in altri ambiti. Ho scoperto che brani di cinema possono essere uno strumento formativo tramite il MIP, sia durante il master in management che nei corsi brevi su design & innovazione. Alcune volte i docenti lo hanno utilizzato ed è un modo efficace per fissare alcuni passaggi importanti della teoria. In genere le immagini e le storie raccontate in una presentazione o lezione si ricordano molto meglio dei concetti semplicemente scritti o enunciati.

2013_04_19 immagine 03Il libro è sviluppato bene, anche perché i quattro autori portano al progetto competenze eterogenee: un docente di economia e management, un formatore, un critico cinematografico e un linguista-cognitivista. Ogni scheda riporta i dati principali del film, la trama, le parole chiave di interesse per il management, il commento degli autori e una breve lista di altri film collegabili per l’argomento. C’è un indice finale per parole chiave (molto utile), le biografie sintetiche dei registi e una breve bibliografia soprattutto su cinema, formazione e organizzazione aziendale. Premetto che alcuni dei 50 film schedati non sono a mio avviso molto centrati rispetto all’analisi, con collegamenti troppo indiretti o marginali. Ma il lavoro è senz’altro interessante e mi ha spinto a fare anch’io una piccola lista, assolutamente non gerarchica o esaustiva.

2013_04_19 immagine 04Bisogna inoltre tener conto che il volume è uscito nel 2007, quindi appena prima dell’inizio della crisi economica. Dal 2008 sono usciti così tanti film che hanno raccontato il tracollo nelle varie forme, situazioni e ricadute sociali, da meritare probabilmente una lista a parte. Penso ad esempio a Up in the air (2009), di Jason Reitman con George Clooney, sul downsizing, The Company Men (2010), di John Wells, con Ben Affleck ancora sul tema del ridimensionamento aziendale a causa della crisi e sulle possibili vie d’uscita, Capitalism: a love story (2009), la condanna del sistema da parte di Michael Moore, Inside job (2010) di Charles Ferguson, con le interviste agli esperti … che non avevano previsto la crisi, ai protagonisti e responsabili, intrecciati tra il mondo della politica e le grandi lobbies, ecc.

2013_04_19 immagine 06Questi sono i 50 film analizzati dagli autori: A tempo pieno; Americani; L’apparenza inganna; Assassinio sull’Orient Express; Babel; Bianca; The Big Kahuna; Cacciatore di teste; Confidenze troppo intime; Il deserto dei tartari; Effetto notte; L’eredità; Eva contro Eva; La febbre; Fitzcarraldo; Gerry; Good night, and good luck; Il grande capo; Grazie signora Thatcher; La guerra dei Roses; Hotel paura; Le invasioni barbariche; Jarhead; Lolita; Lost in La Mancha; The Manchurian candidate; Matchpoint; Le mele di Adamo; Miracolo a Milano; La mosca; Neverland; L’orchestra di piazza Vittorio; Paris, Texas; Le passeggiate al campo di Marte; Pensavo fosse amore e invece…; Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera; Profondo rosso; Radio America; Le ricamatrici; Sentieri selvaggi; Shining; Il sole negli occhi; La spettatrice; La stella che non c’è; The terminal; Time; Tredici variazioni sul tema; Il Vangelo secondo Matteo; Volver. E di seguito c’è invece la mia breve lista (che in buona parte coincide con alcuni titoli sopra):

2013_04_19 immagine 05Americani (Glengarry Glenn Ross, 1992) di James Foley, con Al Pacino, Jack Lemmon, Alec Baldwin, Ed Harris, Alan Arkin, Jonathan Pryce e Kevin Spacey (che cast … !) basato sulla sceneggiatura di David Mamet. E’ una lotta all’ultimo contratto di compravendita tra i venditori di lotti edificabili di un’agenzia immobiliare. Vengono messe a nudo le contraddizioni del principio harwardiano di creare valore per gli azionisti, nella competizione-collusione tra colleghi, prigionieri, come in una sindrome di Stoccolma, del loro destino lavorativo.

2013_04_19 immagine 07The Big Kahuna (1999) di John Swanbeck, con Kevin Spacey (sì, sempre lui, un grandissimo), Danny De Vito e Peter Facinelli, anche in questo caso sulla base di un soggetto teatrale, Hospitaly Suite di Roger Rueff. I temi sono quelli dei conflitti generazionali in ambito lavorativo, il networking (i meeting e le convention sono per gli americani un rito organizzativo), i ruoli di capo gerarchico e di mentore, con un bel discorso di Danny De Vito su competenze, etica professionale e rapporti umani. Irresistibile è l’ormai noto monologo finale, un concentrato di … pillole di saggezza (‘Dance ! …’).

2013_04_19 immagine 08Il grande capo (Direktøren for det hele, 2006), meglio nella traduzione inglese The boss of it all, la commedia di Lars Von Trier che stigmatizza i ruoli e i rituali della gerarchia. I manager sono resi tutti uguali dalla globalizzazione economica e anche, sì, da qualche corso di formazione. Il ruolo fa il manager? Sembrerebbe di sì, l’incaricato messo al posto di amministratore delegato dell’azienda danese di informatica non ha nessun titolo per farlo e agisce su mandato del vero proprietario, che rimane nell’ombra. Ma il piano andrà in tilt all’arrivo di possibili acquirenti islandesi (qui c’è anche il tema della multiculturalità, nelle divertenti differenze di metodo e approccio relazionale tra danesi e islandesi).

2013_04_19 immagine 09The terminal (2004) di Steven Spielberg, con Tom Hanks, Catherine Zeta-Jones e Stanley Tucci. Nella storia di Viktor Navorski, cittadino di un’immaginaria Krakozhia, che rimane intrappolato nell’aeroporto John Fitzgerald Kennedy di New York perché il suo visto non è più valido a causa di un colpo di stato nella madre patria, c’è la lotta a volte kafkiana tra innovazione e burocrazia. Stanley Tucci è bravissimo nel rappresentare il rampante e cinico manager che fa leva sul rispetto delle regole, dall’altra parte le invenzioni che lo straniero Tom Hanks (anche qui la multiculturalità) mette in atto (pur nel rispetto delle norme) per raggiungere la sua missione, sono un manifesto della creatività. E grazie alla serendipity, lungo la sua battaglia, il protagonista incontrerà successi inaspettati.

2013_04_19 immagine 10E per finire … The Yes Men Fix The World (2009), l’irriverente documentario inglese sulle attività del duo di attivisti culture jamming Jacque Servin e Igor Vamos. Culture jamming è una tattica usata da molti movimenti anticonsumismo per sovvertire i media e le pubblicità di massa dominanti al fine di provocare un cambiamento radicale nell’opinione pubblica. Il tema è quello della responsabilità sociale dell’impresa, ad esempio evitando di provocare danni ambientali o di sottacere la pericolosità delle proprie azioni. Questi i bersagli delle azioni di disturbo messe in atto dal duo: US Chamber of Commerce and climate change, Dow Chemical and Bhopal, ExxonMobil Vivoleum, Halliburton Survivaball, HUD and post-Katrina public housing, New York Times hopeful future edition.

Arrivederci al prossimo post su ‘Cinema e …’ dedicato al Project Management ! Spunti e contributi sono ben accetti …

2 thoughts on “Leggere un film in chiave di impresa.

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