Per noi il tempo dei giardinetti non è ancora arrivato.

Due articoli degli ultimi giorni che mi hanno messo decisamente di buon umore e che hanno qualcosa in comune:  fiducia nel futuro ed un entusiasmo imperituro …

Comincio con la storia descritta da Claudio Del Frate sul Corriere del 14.03.2013 ‘La nuova startup dei settantenni che inventano super-tessuti‘. Sintetizzo, rimandando a qui per l’articolo completo. La New Tech Target (Ntt) è un’azienda high tech di Fagnano Olona (Va) guidata da un ingegnere varesino di 71 anni (Mario Borri) e da un chimico bergamasco (Adriano Moioli) di 67 anni. Nella loro fabbrica verrà prodotto a breve un tessuto artificiale ad impatto ambientale zero (diciamo molto ridotto, n.d.r.) multi-impiego (abbigliamento contro le radiazioni, protezione contro inquinanti da idrocarburi) che sostituisce prodotti analoghi a base di piombo e solventi tossici.

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Mario Borri e Adriano Moioli
(Foto © Corriere di Bergamo)

Al di là della battuta sui giardinetti, il successo ha premiato l’impegno di due anni alla ricerca di una giusta miscela e di un processo di fabbricazione adeguato, scontrandosi con le solite difficoltà del caso: perplessità delle banche – che non hanno concesso un finanziamento alla startup appena costituita in mancanza di … bilanci precedenti (!) – tempi biblici per l’allacciamento delle infrastrutture e persino lo scetticismo a fornire materiali per usi innovativi da parte dei fornitori. Ora, a me la storia di questi due ‘diversamente giovani’ che fondano una startup mi è di una simpatia che non vi dico. Un po’ perché, come sostengono Borri e Moioli, è un segnale di fiducia per i giovani sulla possibilità di realizzare qualcosa di buono nel nostro Paese Un po’ perché in questo periodo in cui innovazione e startup sono i vocaboli più abusati (ok, anche da questo blog …) – sembra che siano patrimonio esclusivo di giovani che magari sono ancora alla scuola superiore – in questo caso la storia imprenditoriale e l’esperienza di questi due signori ha indubbiamente un proprio peso (che a volte, nelle startup dei giovani di cui sopra, non è possibile sostituire semplicemente con qualche ora di consulenza di business angels, volpi grigie e simili …).

2013_03_25 immagine 02C’è un’altra storia, che fa il paio con questa e che viene da Massimo Gramellini. ‘Cercansi lampadine’ (vedi qui per il testo sul Buongiorno della Stampa) sembra talmente ‘illuminante’ (è il caso di dirlo) da apparire inventata … Siccome è troppo bella per farne una sintesi, la riporto integralmente.

Un amico racconta che qualche tempo dopo la morte del nonno ha dovuto liberare la cantina del suo appartamento. Tra le altre cose ha trovato uno scatolone pieno di lampadine fulminate. Era accompagnato da un biglietto scritto a mano: «Casomai in futuro inventassero un sistema per ripararle».

Dietro certi aneddoti affiora un mondo. Pare di vederlo, quell’uomo, mentre accatasta oggetti inutilizzabili in un angolo della cantina con la speranza segreta che un giorno possano servire ancora: se non più a lui, a qualcuno della sua famiglia. C’è chi interpreterà il gesto del nonno come un rifiuto del consumismo o un afflato di tirchieria. Io al contrario vi sento la fiducia nel futuro. È lei che abbiamo perso, è lei che ci sorride nostalgica da questi quadretti del passato che ammorbidiscono i cuori perché sembrano celare una risposta possibile alle angosce presenti. L’Italia è uscita dalle macerie di una guerra mondiale grazie a persone che ragionavano così. Statisti che inseguivano obiettivi e non sondaggi, imprenditori che rinunciavano agli utili per tradurli in investimenti, banchieri che prestavano denaro senza passare subito all’incasso, famiglie che risparmiavano sui cappotti dei figli ma non sui loro studi. Milioni di appassionati della vita che coniugavano i verbi al futuro, pur sapendo che non lo avrebbero goduto ma soltanto propiziato. A chi, seduto su nuove macerie, si chiede da dove ripartire, mi verrebbe da indicare quello scatolone di lampadine bruciate. [Massimo Gramellini | La Stampa 13.03.2013].

Queste due storie mi sembrano molto legate, come se i due tecnici della startup varesina ‘d’annata’ potessero anch’essi in cantina avere uno scatolone di lampadine bruciate da riparare o qualcosa di simile. Ci vedo anche un messaggio molto moderno di sostenibilità (e recupero, che abbiamo perso ma ci stiamo sforzando di re-imparare) ma l’interpretazione di Gramellini mi sembra decisamente prevalente e gonfia di fiducia. Ripariamo quelle lampadine.

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