La regola del 20/80.
Prima ha cominciato l’amico Gabriele, commentando così in risposta a una mia mail «Il project management è la morte dell’innovazione!». Poi arriva il numero di giugno di Wired Italia, dove l’articolo di fondo del direttore Massimo Russo (anzi, pare ex-direttore, ma che fine farà la rivista?) spara a zero sulla regola del 20/80 e in generale, sul project management applicato all’innovazione. Ora, per un blog che si chiama appunto “Sustainable Innovation Management” (vogliamo chiamarla “gestione dell’innovazione sostenibile”?) è il caso di prendere posizione in merito e dire (arrivo subito alla conclusione) che no, il project management non uccide l’innovazione, anzi. Ma facciamo un passo indietro.
Per cominciare, cos’è la regola del 20/80? Prendo da Wikipedia: Nel 1897 Pareto, studiando la distribuzione dei redditi, dimostrò che in una data regione solo pochi individui possedevano la maggior parte della ricchezza. Quest’ osservazione ispirò la cosiddetta “legge 80/20”, una legge empirica che è nota anche con il nome di principio di Pareto, e che è sintetizzabile nell’affermazione: la maggior parte degli effetti è dovuta a un numero ristretto di cause (considerando grandi numeri). Questo principio, in realtà, è il risultato della distribuzione paretiana. Naturalmente i valori 80% e 20% sono ottenuti mediante osservazioni empiriche e sono solo indicativi, ma è interessante notare come numerosi fenomeni abbiano una distribuzione statistica in linea con questi valori.

Lo spiega anche Massimo Russo, aggiungendo (leggi qui l’articolo completo) che la regola, insegnata in tutti i corsi di management, è applicata in mille cose, dalla gestione del tempo a quella del fatturato. Insomma, una piccola fetta di quel che fai è responsabile della maggior parte dei risultati. Tanto per capirsi, i primi 20 libri in classifica determinano l’80% dei ricavi dell’editoria, i primi 20 clienti l’80% del fatturato di un’azienda, e così via. Pensate anche Voi a degli esempi. A me nell’ambito delle costruzioni viene in mente che il 20% delle voci di costo di un progetto (in termini di materiali e lavorazioni) corrisponde (sempre su per giù) all’80% del costo complessivo.
Ma la tesi di Russo è che la regola del 20/80, se utilizzata in modo ottuso, è il «metodo migliore per affondare l’innovazione». Dovendo dosare le forze, puoi concentrarti solo su quel 20% e lasciar perdere tutto il resto. Ma in questo ragionamento c’è un baco – continua Wired – così facendo perdi di vista il cambiamento, insistendo a guardare la massa critica, e non considerando il “cigno nero” (mi piace questa definizione) che può sembrare trascurabile, ma che ha in sé il potenziale del mutamento.
L’esempio che fa Russo, la storia dello sviluppo dirompente di Netflix (il cui sbarco in Italia è imminente, vedi ancora l’articolo in questione), è emblematico. Il fondatore Reed Hastings decise di separare l’erogazione dei film in streaming dalla vendita per posta dei DVD, che rappresentava in quel momento l’80% dei ricavi della società. Mossa coraggiosa e lungimirante, che – dice Hastings – rischiò di affondare l’impresa ma che fu ciò che li ha resi grandi. Le innovazioni più potenti, conclude Russo, non sono i piccoli cambiamenti incrementali, sono le soluzioni che cambiano il gioco (dirompenti). Immersi nella gestione dell’ordinaria amministrazione, è impossibile vederle.
Concordo sulla potenza del cambiamento dell’innovazione dirompente (disruptive innovation), che è l’unica a creare quello “spostamento di massa” delle scelte dei clienti che comportano il successo di un nuovo prodotto. Ma, tornando alla regola del 20/80 e più in generale a project management & innovazione, sono io a dire che c’è un baco nel ragionamento di Russo, in almeno tre punti.
Il project management non è solo Pareto.
Innanzitutto, cerchiamo di non semplificare troppo. Il project management non è solo la regola del 20/80. Intanto, intendiamolo per ciò che è: gestione sistemica di un’impresa (intrapresa) complessa, unica e di durata limitata, rivolta al raggiungimento di un obiettivo predefinito mediante un processo continuo di pianificazione e controllo di risorse differenziate e limitate, con vincoli interdipendenti di tempo-costo-qualità. La regola del 20/80 è comoda e piace a tutti i PM (che sono spesso “soli” – vogliamo parlarne? … – e gradiscono i talismani e la semplificazione di fenomeni complessi, il che li aiuta a gestire le situazioni). Ma il PM deve occuparsi di tutto il progetto e quindi non perdere di vista neanche quel restante 20%, garantendo la qualità richiesta e restando nei limiti del budget previsto. Qualità (valore tecnico dei risultati) e budget (quelli “infiniti” non esistono) che valgono anche per le innovazioni dirompenti.
Se cambia il focus del progetto, il project management si adegua.
Non esiste che un’azienda si occupi solo di ordinaria amministrazione. Se non la pensate così, spiacenti, avete sbagliato blog. Per cui presuppongo che debba non solo saper vedere ma anche ricercare sempre quelle innovazioni, anche dirompenti (gioco forza, non solo quelle) che le consentano di essere sempre “lepre” nella competizione quotidiana del mercato. Se all’interno di un progetto o più in generale di un “business” principale scorgiamo la novità (nuovo prodotto, servizio, ecc.) che merita di essere sviluppato, allora cambia il focus del progetto (lo scope of work, potremmo dire) e il project management (che è un tool o meglio un sistema di tool, una metodologia) si adegua per ridefinire la gestione della novità. Insomma, nuovi progetto, budget, risorse, tempi, prestazioni richieste, ecc. Non mi è mai, dico mai, capitato (e non penso di essere una pecora nera in questo) di completare un progetto nello stesso assetto (obiettivi) con la quale è stato avviato. Che il progetto cambi (a volte radicalmente) e il PM si adegui di continuo non è un’eccezione, è la routine. Insomma, una gestione (esigente, rigorosa, multidisciplinare, olistica e continuamente ripianificata) dell’innovazione non solo è possibile, ma necessaria.
Senza DVD, non ci sarebbe Netflix.
Nel caso Netflix, secondo Wired, la vendita per corrispondenza di DVD viene vista come quell’80% ingombrante di attività tradizionale dell’azienda che avrebbe rischiato di oscurare la visione e lo sviluppo del nuovo business della TV on-line. Ma a me sembra invece nient’altro che la cosiddetta “cash cow” della nota matrice BCG (Boston Consulting Group). La vedo come quel business consolidato e affermato, che infatti fornisce all’azienda l’80% dei profitti e che è quindi in grado di generare quella liquidità che Hastings potrà poi utilizzare per lo sviluppo del nuovo prodotto “dirompente”. Quel “question mark”, cioè l’idea ad alto potenziale di novità ma con grandi rischi, che poi troverà il successo e diventerà – vedi grafico – la “star” del portfolio prodotti dell’azienda. E che già oggi (a quanto ammonta ora in termini percentuali per Netflix la vendita di DVD? Meno del 20%, azzarderei …) è di fatto l’attività redditizia che caratterizza l’azienda (di nuovo, la “mucca da mungere”).
Lunga vita a Pareto 😉
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