Il salto del gambero, la veloce, il rovescio bimane.
Ciclismo, calcio, canoa. Lo sport è un’opportunità per le piccole imprese innovative. Anche in Italia. La competizione infatti è innovazione ma è anche uno spettacolo in digitale, uno sforzo di ricerca e tecnologia, un’opportunità. Dal kajak alla Ferrari, dalle mute fatte studiando l’idrodinamica dei pesci sino alle bussole e navigatori integrati per chi ama la montagna: lo sport è anche tecnologia. Grazie ad un post della Fondazione Giannino Bassetti ho recuperato questo articolo di Paolo C. Conti apparso su Nòva del Sole 24Ore dell’agosto 2006.
La passione per lo sport ha visto nascere diverse community di esperti che attraverso internet, forum, blog hanno discusso le loro idee sviluppando nuove soluzioni, in una sorta di ambiente “open source” dell’innovazione. Ci sono aziende, come la Ferrari, che da decenni usano la competizione sportiva come palestra per lanciare sul mercato prodotti migliori. A Maranello c’è un reparto chiamato Technology Transfert, che si occupa appunto di trovare la strada per trasformare le innovazioni di Ferrari in soluzioni standard per il mercato dell’auto.
Ma l’innovazione nello sport non passa solo attraverso i progressi della tecnologia; c’è una storia lunga quanto la storia dello sport di nuovi modi di sfidare i propri limiti puntando alla vittoria, ma sempre nel rispetto delle regole. Quelle di seguito descritte sono tre storie che hanno cambiato la storia dell’atletica, della pallavolo, del tennis.
Fosbury. Il salto del gambero

Lo stile Fosbury, o semplicemente Fosbury, è una tecnica utilizzata nel salto in alto che si differenzia dalle tecniche precedenti perché l’atleta passa l’asticella con la schiena rivolta verso la stessa: il centro di massa rimane sotto l’asticella, per cui lo sforzo è minore rispetto allo scavalcamento verticale per gli stessi risultati.
La tecnica fu inventata da Dick Fosbury, che vinse la medaglia d’oro alle Olimpiadi del 1968 in questa specialità. In realtà la tecnica fu utilizzata anche da alcuni singoli atleti negli anni precedenti (su tutti la primatista canadese Debbie Brill che cominciò a usare questo tipo di salto nel 1966 a 13 anni), ma senza successi di rilievo.E cinque anni prima di Fosbury, tale Bruce Quande, liceale del Montana, che, come testimoniato da un articolo del Missoulian del 24 maggio 1963, vinse una gara scolastica con questa nuova tecnica. Ma di Quande non se ne sentì più parlare, mentre solo grazie ai successi di Fosbury la tecnica ha avuto grande seguito ed è oggi praticamente l’unica utilizzata a livello agonistico. Dick diventò famoso grazie a quello strano, apparentemente incongruo modo di saltare: a un certo punto della rincorsa, Dick faceva una giravolta e decollava, di schiena, verso l’asticella.

Quel salto a gambero, sul quale si discusse molto a livello di regole, prima di considerarlo tecnicamente accettabile, non fu una bizzarra scorciatoia verso un’effimera notorietà. A Fosbury valse l’oro ai Giochi del ’68 (con 2,24) e un ingresso clamoroso nella storia dell’atletica: da quel momento il modo di saltare all’indietro, magari brutto da vedere ma altamente “efficiente” cominciò a imporsi su quello classico “ventrale”, che aveva caratterizzato vari decenni della specialità. Iniziò il declino inesorabile della tecnica ventrale del russo Valery Brumel e di un altro straordinario sovietico, Vladimir Yashenko, che ancora nel 1978 riuscì con il colpo di pancia a battere il record mondiale (2,34). La carriera di Fosbury non prosegui poi a lungo ad altissimi livelli, superato da altri saltatori che utilizzarono il suo metodo, ma più tecnicamente e fisicamente dotati di lui. Ma il suo status di “first mover” ormai era tracciato …
La veloce. Saltare subito, anche a vuoto.
La Pallavolo nasce negli Stati Uniti nel 1896, inventata da William G. Morgan, coordinatore di educazione fisica dell’YMCA del Massachussetts, che la descriveva come “un gioco che si può praticare in palestra o all’aperto e che consiste nel lanciare una palla da una parte all’altra di una rete; gli avversari debbono impedire che la palla tocchi il suolo”. Negli Stati Uniti il nuovo gioco, originariamente chiamato “Mintonette” si diffonde con grande difficoltà e scarso entusiasmo; impiega più di tre anni per arrivare a Cuba, ma contagia, invece, l’America del Sud: Brasile, Uruguay, Messico, Argentina abbracciano con grande entusiasmo la nuova disciplina sportiva.
In Oriente la Pallavolo arriva prima nelle Filippine, portata da un altro professore dell’YMCA, Helwood Braun. Fu l’inizio di quella che venne chiamata “la grande adesione gialla”. Si giocava a pallavolo in Cina, nelle Coree, allora unite, in Giappone.
In Europa arriva sugli incrociatori americani che sbarcano in Francia insieme ai soldati della Grande Guerra (1914-1918). La Pallavolo era stata inserita nei giochi di svago della truppa.
In Italia arriva nel 1917-1918 a Porto Corsini, vicino a Ravenna. Gli Americani mostrano il nuovo gioco in un hangar della base per idrovolanti: la guerra finisce, gli americani tornano a casa, ma la Pallavolo resta e dalla Francia comincia a diffondersi in tutta Europa. L’U.R.S.S. è colpita da una vera e propria epidemia; la Pallavolo, in pochi anni diviene lo sport nazionale dell’Unione Sovietica, che nelle classifiche finali dei vari Campionati Mondiali e delle varie Olimpiadi occupa regolarmente una delle prime tre posizioni fino al 1990. Ma è tutta l’Europa Orientale a scegliere il Volley come sport di massa.
Bulgaria, Cecoslovacchia, Romania e Polonia, allestiranno nel tempo squadroni formidabili. La Cecoslovacchia apporterà innovazioni tecniche di grande interesse. In pochi anni gli Europei dell’Est diventano i più bravi al pari dei Giapponesi e degli stessi inventori, gli Americani.
Negli anni 50-60 nascono le così dette “scuole”: la scuola cecoslovacca è imperniata esclusivamente sulle “schiacciate” e sui “muri”; quella sovietica predica la conoscenza perfetta dei fondamentali (palleggio, bagher ecc.), realizzando così un gioco più dinamico e variato dei cecoslovacchi.

In quel periodo il Giappone si specializza nel gioco veloce, realizzato in agilità, acrobazia, finte e ritmo; un gioco molto apprezzato dal pubblico. In particolare diventa il paese della “veloce”. Cos’è la “veloce” (“fast“) ? a differenza che nel gioco d’attacco tradizionale, l’attaccante incomincia la sua rincorsa qualche frazione di secondo prima che il palleggiatore abbia toccato la palla. A questo punto il salto può essere effettuato in diverse posizioni, tutte piuttosto vicine all’alzatore. La vicinanza al palleggiatore e la conseguente conclusione fulminea rendono lo schema imprevedibile per la squadra avversaria che non riesce a organizzare tempestivamente la difesa. Dato che nel frattempo saltano anche gli altri laterali, il palleggiatore può attendere fino all’ultimo istante per decidere a chi indirizzare l’alzata. Può capitare pertanto che l’attaccante salti “a vuoto” (cosa inconcepibile, “roba da giapponesi”, dicevano i giocatori occidentali, come raccontato in un memorabile intervento di Julio Velasco).
È così che il Giappone ottenne dei brillanti successi alle Olimpiadi (3° a Tokyo 1964, 2° a Città del Messico 1968 e 1° a Monaco 1972). Oggi la “veloce” viene giocata da tutte le squadre di pallavolo e a tutti i livelli.
Il rovescio bimane. Brutto ma efficace.
Le innovazioni, il cambiamento dello “status quo” sono in genere viste con diffidenza, a maggior ragione in uno sport di lunga tradizione come il tennis.

Bjorn Borg giocava nella categoria juniores quando cominciò a far storcere il naso ai puristi del tennis con quel suo sgraziato rovescio a due mani. Questo colpo, che allora costituiva una novità, per molti era un difetto tecnico. In realtà i risultati smentirono tutti i critici, Borg dimostrò che si poteva essere forti senza saper giocare bene a tennis: era il numero uno ma almeno un centinaio di giocatori al mondo colpivano al volo meglio di lui, servivano meglio di lui e avevano un braccio più “virtuoso” del suo. Ma nessuno aveva la sua velocità di spostamento, la sua capacità di concentrazione e la sua stessa resistenza negli incontri-maratona. Il rovescio a due mani oggi è ormai molto diffuso e dopo Borg e Jimmy Connors è passato alle generazioni successive (Andrè Agassi, Jim Courier, Mats Wilander, Rafael Nadal, Andrew Murray), ormai nella top-ten resta il solo Federer col rovescio classico ad un mano. Mentre può creare difficoltà nel gioco a volo, il rovescio a due mani è particolarmente efficace nel gioco di rimbalzo (è un movimento più corto rispetto a quello a una sola mano), nella risposta al servizio e nei passanti.

I grandi campioni spesso non sono dei grandi innovatori nello sport in cui primeggiano, in quanto sono individui dotati di talento, superiori per tecnica, tattica e intelligenza, che si adattano allo stato dell’arte. Si pensi ad esempio a Roger Federer, che, secondo David Foster Wallace (“Roger Federer come esperienza religiosa“), è riuscito a essere incredbilmente vincente in un periodo in cui il tennis ha iniziato a virare verso una fisionomia completamente diversa dal suo gioco (tutta fisicità portata all’estremo, più che tecnica). Borg invece è stato anche un innovatore e grazie alla sua tecnica è riuscito a diventare uno dei tennisti più grandi di tutti i tempi (64 tornei internazionali tra Grande Slam e Grand Prix).
One thought on “L’importante non è vincere, è innovare.”