In tre giorni circa 18.000 presenze per l’Innovation Festival, ben oltre le aspettative (nel 2012 furono 25.000 ma c’era la Lunga Notte della Ricerca, che ha cadenza biennale e quest’anno non c’era). 460 persone per Philippe Daverio, 300 per il ministro per l’istruzione Maria Chiara Carrozza, 250 circa per Jessica Jackley, Carlo Ratti, Alberto Tomba, e così via.

Sabato pomeriggio gli interessanti interventi sui grandi progetti europei e su come il coinvolgimento pubblico sia praticamente indispensabile per il loro successo. Ne hanno parlato al Museion in ‘Mumbai, Francoforte, Alto Adige‘ Eva-Maria Börschlein, Johann-Dietrich Wörner e Konrad Bergmeister. Eva-Maria Börschlein dirige il progetto delle cooperazioni culturali BMW Guggenheim Lab e ha avviato innovativi progetti di sviluppo urbano in città come Mumbai, Berlin o New York. Johann-Dietrich Wörner, presidente del centro tedesco per l’aeronautica e l’astronautica e responsabile per la mediazione nella costruzione dell’aeroporto di Francoforte ha sottolineato come possano essere soggetti ai conflitti i grandi progetti se i cittadini hanno la sensazione che si decida sopra le loro teste. Konrad Bergmeister, presidente del Tunnel di Base del Brennero, ha concluso l’evento parlando della costruzione del tunnel e dei diversi eventi di comunicazione per rendere partecipe la popolazione sulla questione. (Per un ulteriore approfondimento: news sulla rassegna stampa del Festival).

L’atmosfera si è decisamente ‘scaldata’ con il successivo evento al Museion ‘Finanziare i rischi delle start-up‘ con la partecipazione di Alexander M. Orlando, il venture capitalist americano, fondatore, tra le altre della piattaforma InnoCentive. Una delle doti principali quando si presenta la propria idea a un venture capitalist è la sintesi: il progetto che viene presentato deve essere riassumibile nelle tre semplici fasi di valutazione, aggiustamento e implementazione. E si devono presentare forze e debolezze, essendo sinceri sulle proprie debolezze. L’investitore ha parlato anche dell’Italia, che giudica il Paese dove la mente ‘costa’ meno e che non permette gli investimenti, perché penalizza coloro che vogliono investire facendo riferimento alle barriere legislative che ostacolano l’affluire di capitali. Nell’evento, moderato da uno strepitoso Carlo Massarini (ma Vi ricordate Mister Fantasy?) si sono presentate anche alcune nuove start-up insediate nel TIS innovation park: Cartorender, Ecofarming, Hektros. (Per un ulteriore approfondimento: news sulla rassegna stampa del Festival).

Gran finale sabato sera, sempre al Museion (che si è rivelata una ‘location’ molto piacevole, elegante e funzionale) con Carlo Ratti, architetto e ingegnere responsabile del SENSEable City Lab al MIT di Boston. Ratti ha rappresentato in un decalogo, attraverso i progetti sviluppati all’MIT, come potrebbe essere la smart city del prossimo futuro: 1. Partecipazione pubblica ‘2.0’ | Le persone segnalano in tempo reale i problemi della città in modo che le amministrazioni possano intervenire. Un esempio: Fix my transport (UK). 2. Servizi urbani e palmare | Prenotare un ristorante a NY con OpenTable oppure un taxi con Uber. 3. La città ci parla | Le etichette intelligenti sui prodotti ci informano sulla loro provenienza. Lo stesso vale per i rifiuti, il cui percorso può essere tracciato per ridurne l’impatto, con il progetto Trash | Track.

Gli eventi più intensi? La testa mi dice lo scenario futuribile messo in scena per progetti da Carlo Ratti e il vivace dibattito tra Carlo Massarini, Fabio Lalli e Alexander M. Orlando. A parte la differenza sensibile tra Massarini e altri moderatori del Festival, è stato molto interessante prendere drasticamente atto che per sviluppare i progetti servono i soldi e che per i soldi bisogna convincere gli investitori. Ma prima di convincere gli investitori, gli startupper devono convincere se stessi, ovvero essere in grado nel modo più assertivo possibile di difendere e portare avanti la propria idea in modo efficace. Non abbiamo certo l’ecosistema dell’innovazione di una Silicon Valley ma il mondo delle start-up è cresciuto enormemente in questi 2-3 anni. Dobbiamo insomma (ancora A. Orlando) trovare una nostra dimensione e specificità puntando sui prodotti che siamo bravi a fare. Ma, tornando al mio ‘best of’ il cuore dice Jessica Jackley e Hitendra Patel. E per un motivo molto semplice, anche se declinato in due modi diversi: ‘passion’, passione. E’ quella che ho visto nell’entusiasmo della presentazione di Jessica e nella scoppiettante verve di Patel. Dico in due modi diversi perché la Jackley ha trasmesso l’energia di credere così fortemente nella propria missione e buttarcisi dentro anche a costo di errori pericolosi: con una formazione universitaria in filosofia e scienze politiche si è trovata a gestire l’innovazione finanziaria forse più interessante (e di certo sussidiaria) degli ultimi dieci anni. Ma l’abnegazione non basta, servono metodo scientifico e una chiara strategia di sviluppo. Ciò che possono dare le migliori scuole di business, come ha spiegato Hitendra Patel con una sequenza inesauribile di suggerimenti che hanno colpito nel segno: ‘Technology is an enabler for innovation, it isn’t innovation’. ‘Innovation is not Powepoint. Prototype, go straight to the market, talk to the client. That’s innovation !’ ‘Change + Value = Innovation.’ ‘You don’t need a crystal ball to predict the future … but megatrends may help you.’ ‘What characterizes italian innovation is the ‘feeling of things’. That makes the difference’. ‘Knowledge to apply is the knowledge (and education) you need to innovate.’
Al prossimo Festival 😉
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