La possibilità di un’isola.

L’autarchia (im)possibile di Kos.

DSC_0135Adoro le isole greche, come immagino molti di Voi. Se posso, vedo di combinare una vacanza di una settimana almeno una volta l’anno. E’ una dose di aria pura, di energia solare, di iodio, di riposo, di letture. E’ anche una scelta economica, in termini di costi-benefici. Farsi almeno 400-500 km di auto in coda per raggiungere le prime spiagge italiane a cui aggiungere il sovraffollamento e i costi degli alberghi, conti alla mano costa molto di più in termini ambientali, economici e di qualità della vita. Certo, il modo più sostenibile per vivere queste isole da sogno dovrebbe essere via barca (non in aereo) e a ritmo iper-lento ma bisogna avere molto tempo a disposizione e anche il tempo è un costo. Ogni volta che ritorno è come se avessi accumulato una carica di batteria lunga quasi un anno. Ma quest’anno è un po’ diverso. Al ritorno da Kos mi porto dietro un po’ di amarezza e il dispiacere di un’occasione, la possibilità di un’isola, mancata.

Kos è una bellissima isola nel Dodecaneso, la seconda per grandezza dopo Rodi, di fronte alla Turchia. Non mancano le spiagge poco frequentatDSC_0113e, con vari tipi di sabbia, ghiaia, roccia. Kos Town è una città molto piacevole, integrata da parecchio verde, con diversi edifici del periodo fascista (in uno stile ideato apposta per le colonie, un misto tra razionalismo e forme eclettiche e creative) restaurati con attenzione, ben integrati nel tessuto urbano e utilizzati come Municipio, Ospedale, Mercato comunale, ecc. Ci sono diversi siti archeologici importanti, dei quali almeno uno famosissimo, la scuola di medicina di Ippocrate (nativo di Kos, 460 a.C.), il santuario eretto in onore del dio Asclepio (III°-II° secolo a.C.).

Cosa c’è che non va in tutto questo? C’è che l’isola si sta ‘lasciando andare’ in un’indolenza che non è solo endemica ma sintomo (ai miei occhi) di una mancanza di visione del proprio futuro e di consapevolezza della propria bellezza. L’altro lato di quest’atteggiamento (o forse proprio la causa scatenante di questo declino) è il dispendio continuo di risorse (energetiche, ambientali, economiche) per rincorrere i capricci di un turismo ormai di massa proveniente da tutte le parti d’Europa. Ci sono due modi per sviluppare la propria vocazione turistica: uno è preservare la propria identità, valorizzando i propri tesori per attrarre un turismo rispettoso, consapevole e disposto ad ‘acquistare’ la qualità; l’altro è accontentare tutti facendoli sentire ‘come a casa propria’ in una logica di divertimentificio. E allora, pub per gli inglesi (Kardamena è una specie di Brighton), birrerie per i tedeschi, pizzerie per gli italiani, kebab per chi cerca l’Asia minore in Europa (Bodrum e la Turchia sono a pochi km di navigazione ma, com’è noto, greci e turchi mal si tollerano). E poi nordici, scandinavi, francesi che si stupiscono che i camerieri non parlano francese e ovviamente russi a profusione. Insomma una piccola metafora di una Grecia sfruttata, al servizio degli europei, che tanto richiama il parallelo con le difficoltà finanziarie che da quattro anni la stanno tenendo sotto scacco nell’agenda politica di Merkel & C.

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Impianto eolico a Kos

Buona parte delle risorse locali se ne va nel far funzionare questi mega hotel da cinque stelle con tutti i comfort, uguali a tanti altri, mentre gli aerei passano sopra le teste degli ospiti atterrando ogni mezzora per scodellare frotte di europei. E’ facile immaginare l’impatto anche ambientale di questa girandola: un consumo immane di energia (ben poco rinnovabile, qualche impianto eolico e alcune installazioni di pannelli solari vicino all’aeroporto, per un’isola molto ventosa e con sole 365 giorni l’anno); di acqua (anche se l’isola sembra non avere al riguardo gli stessi problemi di altre consorelle, grazie alle sorgenti di Zia); di cibo (ma nei buffet degli hotel c’è di tutto fuorché pietanze elleniche) sprecato a dismisura (i russi in particolare sembrano alquanto famelici); e infine una cospicua produzione di rifiuti che è ovviamente difficile gestire (non Vi aspettate centri di riciclaggio). Il brutto è che questi segnali si cominciano a vedere diffusamente e in modo tangibile.

DSC_0106La foto a fianco è stata scattata dall’ultima gradinata dell’Oden romano (I° o II° secolo d.C.) in pieno centro di Kos. Nel prato c’è di tutto, bottiglie di vetro, di plastica e rifiuti di ogni genere. Si percepisce chiaramente che la crisi economica ellenica è arrivata a lambire anche le isole. Manca il personale per gestire le numerose opere di pregio. Accanto al teatro romano ci sono i resti di una piccola domus, ma l’accesso è chiuso per mancanza di custodia (altri siti di questo tipo sull’isola sono chiusi per lo stesso motivo o in cattive condizioni) e uno splendido mosaico (vedi immagine sotto) è esposto alle intemperie e all’incuria.

DSC_0107Analogamente procedono a rilento i lavori pubblici sia per la tutela dei siti archeologici (vedi nella foto sotto l’ennesimo progetto di recupero di una casa romana di notevoli dimensioni) che per infrastrutture di base necessarie per sostenere il traffico legato ai flussi turistici. È una storia che, magari con altre dimensioni e caratteristiche, richiama i disastri della nostra Pompei. È il problema di una comunità seduta su dei veri e propri tesori ma non in grDSC_0109ado di sfruttarli in modo efficiente. Basterebbe ad esempio solo gestire meglio il sito dell’Asklepieion, il santuario di Asclepio con la scuola dove insegnava Ippocrate. Un posto pieno di magia, adagiato su una collina, che incute il rispetto della Storia. Scriveva Ippocrate riguardo alla figura del medico ‘L’unione del perfetto uomo con il perfetto studioso: calma nell’azione, serenità nel giudizio, moralità, onestà, amore per la propria arte e per il malato. Ogni interesse personale passa in secondo piano. Solo errori di lieve entità sono considerati. Il suo abito, infine, deve essere decoroso e il suo aspetto denotare salute’. L’Asklepieion dovrebbe essere una meta obbligata per medici di tutto il mondo !

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La strategia auspicabile è chiara: puntare sulle proprie risorse, valorizzare il territorio, tutelare i propri tesori architettonici, archeologici, culturali, anche gastronomici, certo, difendere la propria identità e promuoverla a valore proponendolo a un turismo consapevole e alla ricerca della qualità. Non è un discorso elitario. L’alternativa è la rincorsa dell’omologazione, che fa di Kos un posto come altri, condannato a competere sul prezzo più basso. Una strategia che punta all’efficacia e all’efficienza. Perché sull’altro piatto della bilancia c’è l’emorragia di risorse economiche e ambientali, in un deterioramento del territorio che erode la ricchezza stessa dell’isola. Può un’isola essere autonoma, autosufficiente, autarchica nel senso sostenibile del termine? Se ci pensate, è la metafora del nostro globo o meglio della nostra biosfera. Kos sta vivendo molto probabilmente al di sopra delle proprie possibilità (la mia è un’impressione, non ho dati statistici, anche se sarebbe molto interessante analizzarli) violando i principi della sostenibilità (mi riferisco a quelli del frame work di The Natural Step). Sta impiegando risorse energetiche in modo poco efficiente e di tipo non rinnovabile. Produce e disperde sostanze sintetiche nell’ambiente (le bottiglie di plastica nei giardini di Kos sono solo un esempio). Continua a erodere il territorio, anche se la speculazione edilizia si è bloccata, stroncata dalla crisi – qualche cartello di cantiere per ‘un nuovo hotel a 5 stelle’ nasconde sullo sfondo alcuni manufatti in conglomerato cementizio armato appena iniziati. E compromette le condizioni sociali: negli alberghi locali prestano servizio molti greci che, perso il lavoro sul continente per la morsa della crisi, si adattano a lavori stagionali lontano dalle proprie famiglie.

Image: Thomas Doyle
Image: Thomas Doyle

Ma un’altra strada è possibile. Necessita una visione strategica di sviluppo sostenibile. Un’isola come Kos può diventare autosufficiente in un rapporto di equilibrio con la natura? Credo di sì. E’ un’isola splendida, ha tutto quello che serve, con il sole come fonte di energia inesauribile. Ha risorse culturali e naturali. Può veramente vivere sul turismo, senza essere costretta a pagare il prezzo inaccettabile della perdita della propria identità e della svendita delle proprie bellezze. Potrebbe davvero essere un laboratorio in tal senso e sperimentare un diverso paradigma, così come potrebbero farlo le mille Kos in giro per il mondo, le green communities del futuro. E se ce la fa una piccola isola, perché non potrebbe farcela la ‘nostra’ biosfera nel suo complesso?

2 thoughts on “La possibilità di un’isola.

  1. non ho visitato l’isola ma condivido le ragioni critiche esportabili in realtà anche italiane, dell’entroterra particolarmente

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