Aveva iniziato Stefano Micelli nel 2011 con il best seller ‘Futuro artigiano”, dove il lavoro artigiano viene descritto come un filo rosso che attraversa il Made in Italy di successo ed è un tratto della nostra cultura al quale non diamo il giusto valore. Di recente poi la Conferenza Episcopale Italiana ha pubblicato e presentato ‘Per il lavoro. Rapporto-proposta sulla situazione italiana.’ Una proposta che si basa anche sulle seguenti considerazioni <Noi sappiamo che l’Italia è il Paese della piccola e media impresa: è questo il grande patrimonio di ricchezza economica del Paese. Ci piacerebbe che forse un po’ di più si riflettesse sulle condizioni che hanno reso possibile, nel nostro Paese, lo sviluppo di questo patrimonio, vale a dire sulle energie creative, proprie, del popolo italiano.
E’ qualcosa che più di quanto non si pensi ha a che fare con la cultura italiana, che è una cultura della quale si enfatizza magari il particolarismo, l’egoismo, la furbizia … forse sarebbe ora che incominciassimo anche ad apprezzarne i lati positivi come il gusto del lavoro fatto bene, una tradizione del lavoro incominciata nelle botteghe artigiane del Rinascimento e che nei secoli è arrivata fino a noi.> (dall’intervista di Radio Vaticana al sociologo Sergio Belardinelli, tra i curatori dell’opera).
Quella che riporto di seguito, con l’intervista di Riccardo Valletti sull’Alto Adige del 14.04.2013 a Sergio Zanolini, un pasticcere noto a Bolzano, è un bel racconto come sicuramente altri se ne possono cogliere tra le strade delle città e dei borghi italiani. Ma è importante, perché è una storia di competenza, ovvero di studio, esperienza e passione per il proprio lavoro. Come analizza Micelli, la riscoperta del lavoro artigiano, non solo in Italia, supera i confini dell’economia e ci costringe a riflettere su cosa dobbiamo intendere oggi per creatività e meritocrazia e sulle opportunità di crescita che si offrono alle nuove generazioni del nostro paese.
BOLZANO. Esce dal laboratorio asciugandosi le mani appena lavate e col sorriso sulle labbra di chi fa ritorno da un parco giochi. Renzo Zanolini è ancora appassionato del suo lavoro come se avesse appena iniziato a scoprire i segreti della pasta frolla, e invece ha appena compiuto settant’anni. Dei quali 57 passati ad affinare l’arte di addolcire le tavole dei bolzanini. Era ancora adolescente quando lo zio l’ha chiamato a Bolzano dalla Val di Non, «vieni qui, c’è un posto da apprendista nella pasticceria di Riccadonna».
E’ stato amore a prima vista: gli anni passavano e lui cresceva tra spatole e alchimie di sapori. Dopo la prima esperienza passa al laboratorio di Loacker, molto prima che il marchio diventasse il celebre biscotto dei sette nani. E’ lì dentro che sboccerà l’amore per il cioccolato, amore che lo porterà nei templi dell’arte dei maitre chocolatier svizzeri.
«Lavoravo a Zurigo da qualche tempo quando decisi di trafugare qualche ricetta; i procedimenti di lavorazione erano complicatissimi e non potevo ricordare tutto a memoria, allora ogni giorno mi nascondevo in bagno una o due volte e mi scrivevo due righe di appunti sulla fase a cui stavo lavorando, nel ’59 loro erano già avanti di un secolo rispetto alle nostre conoscenze sulla lavorazione di alcuni prodotti». [l’innovazione prevede anche l’emulazione e la rielaborazione, n.d.r.]
Un patrimonio di conoscenza che ancora oggi si nasconde dietro ai gesti sapienti con cui, ad esempio, una torta sacher prende forma in un battito di ciglia. «Poi decisi di studiare la ricetta tradizionale del panettone, e allora mi trasferii a Milano, a lavorare in una fabbrichetta artigianale, dove la ricetta era la stessa da sempre». Viaggiare, scoprire, imparare sempre cose nuove, «per fare questo lavoro serve una grande passione – spiega il maestro – la fatica e gli sforzi sono tantissimi che se uno tenta di farlo solo perché ha bisogno di lavorare è destinato a fallire».
Nell’arco di questi anni Renzo ha avuto modo di assistere ai mille cambiamenti del mestiere, e in un certo senso ad anticiparne i corsi: «Le leggi e la burocrazia nel giro di vent’anni sono raddoppiati e poi ancora raddoppiati, oggi questo lavoro non è più quello di una volta». E mantenere caparbiamente le ricette tradizionali complica ancora di più le cose, «Io mi rifiuto di utilizzare qualunque semilavorato industriale, da tempo esistono moltissimi preparati liofilizzati per praticamente qualunque ricetta, ai quali basta aggiungere acqua o latte o uova, per avere l’impasto già fatto pronto da infornare; per me questo non è vera pasticceria, io produco tutti i miei dolci seguendo personalmente tutte le fasi della lavorazione, e questo però comporta una moltiplicazione dei controlli sanitari e delle certificazioni».
Ecco quindi che un pezzo di ogni articolo di quando in quando prende la via del laboratorio di analisi, e viene certificato in tutte le sue fasi di lavorazione. «Il futuro di questo mestiere è tutto nella formazione – afferma il maestro – per nostra fortuna l’Alto Adige è ai primi posti sul piano internazionale per la qualità della formazione». Fare contratti da apprendisti è un dovere morale, «dopo una vita trascorsa ad imparare e raffinare un’arte così varia, è un peccato che tutto questo sapere non venga tramandato».
Per Renzo e la moglie Elda, con cinque figli maschi (Luca, Cristian, Patrick, Devis e Gerry), il problema non si è posto, e la dinastia ha già i suoi eredi pronti a prendere il comando, «ma non c’è fretta, ancora mi diverto». Il suo dolce preferito: «le mousse, adoro i sapori delicati». La prima ricetta: «la pasta frolla, il viaggio inizia per tutti da lì». Ricetta segreta? «No comment».
[Riccardo Valletti © Alto Adige, 14.04.2013]